L’EQUO COMPENSO PER L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE

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Recentemente il legislatore è intervenuto per regolamentare la disciplina legale del compenso dei professionisti.

Preliminarmente si fa presente che l’art. 2233 del C.C. prevede una scaletta da osservarsi nella determinazione del compenso per l’opera professionale.

Nell’ordine:

  1. gli accordi tra le parti;
  2. le tariffe professionali;
  3. gli usi;
  4. la decisione del giudice.

Facendo un po’ di storia si ricorda che fino a ieri:

  • le tariffe degli avvocati, poiché previste dalla legge, non erano derogabili (né al rialzo né al ribasso);
  • le tariffe degli altri professionisti potevano anche essere derogate (al rialzo o al ribasso): in questo caso prevaleva l’accordo tra le parti rispetto alla tariffa.

Questa distinzione:

  • in un primo momento è venuta meno con il D.L. n. 223/2006 (cd. decreto Bersani)) che ha eliminato i minimi tariffari inderogabili;
  • successivamente sono state drasticamente abolite le tariffe professionali con l’art. 9 del D.L. n. 1/2012 (c.d. Decreto sviluppo).

Dunque, ad oggi, il compenso spettante al professionista per l’opera svolta, secondo espressa previsione normativa, deve essere pattuito al momento del conferimento dell’incarico. In caso di contenzioso tra professionista e cliente devono trovare applicazione i parametri stabiliti dal
D.L. n. 1/2012(vedi oltre).

LA TUTELA CONTRATTUALE DEL PROFESSIONISTA

Con il c.d. “Jobs Act dei Lavoratori Autonomi”, il legislatore ha stabilito essere abusive e quindi prive di effetto, le clausole contrattuali:

  • che attribuiscono al committente la facoltà di modificare le condizioni del contratto;
  • che attribuiscono al committente la facoltà di recedere dal contratto senza congruo preavviso;
  • con le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a 60 giorni;
  • con le quali al cliente si attribuisce la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive gratuite.

Si tratta di clausole vessatorie che determinano, anche in ragione della eventuale non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista.

La clausola vessatoria è nulla ma il resto del contratto resta valido.

Ricordiamo, infine, che continua a trovare applicazione l’art. 1341 C.C. riguardante, più in generale le clausole vessatorie nei contratti.

Sempre il “Jobs Act dei Lavoratori Autonomi” ha esteso anche ai professionisti la normativa in materia di abuso di dipendenza economica. È evidente che la tutela in materia di abuso di dipendenza economica si traduce nei fatti nella attribuzione di un compenso estremamente basso e non commisurato alla prestazione svolta.

In questo caso la norma prevede:

  • la nullità della clausola contrattuale con attribuzione di un equo compenso;
  • oltre al risarcimento del danno al professionista.

Ci piacerebbe affermare che le prerogative ora elencate si applicano qualsivoglia sia la parte contrattuale del professionista: imprese, privati, professionisti, enti, ma nell’affermarlo dobbiamo poi notevolmente circoscrivere il campo di applicazione di tali tutele, posto che esso riguarda solo le attività svolte in favore di:

  • imprese bancarie e assicurative;
  • imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese (secondo la definizione di cui alla Raccomandazione 2003/361/CE),

nell’ipotesi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese.

Sul punto si fa presente che i contratti con questi soggetti si presumono unilaterali, salvo prova di una avvenuta negoziazione. Ciò significa che laddove il committente riesca a dimostrare che il compenso è frutto di una contrattazione, ancorché estremamente basso, lo stesso è legittimo.

È intuitivo che la norma per come formulata è facilmente aggirabile poiché sembra poter concludere che nell’ipotesi in cui la banca o la grande società invia una proposta contrattuale al professionista con un compenso irrisorio e successivamente ci si accorda per un incremento del corrispettivo che resta comunque del tutto inadeguato alla prestazione svolta, l’accordo è del tutto legittimo.

IL COMPENSO BASSO PER DIPENDENZA ECONOMICA – LA SOLITA DEROGA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Inutile dire che la norma non trova applicazione se il committente è una pubblica amministrazione, la quale ha la possibilità di affidare al professionista incarichi impegnativi e di notevoli responsabilità a prezzi irrisori e ciò anche sulla base di condizioni contrattuali predeterminate e non frutto di contrattazione con chicchessia.

Ha fatto scalpore la recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 4614 del 3 ottobre 2017, che ha ritenuto legittimo l’affidamento da parte di un ente pubblico di un incarico professionale dietro il compenso di € 1 (uno).

Ma così è!

QUANDO IL COMPENSO È EQUO

Il compenso è equo se risulta “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia”.

È bene far presente che non si tratta di tariffe professionali che, come prima detto, sono oramai abrogate (anche se ci assomigliano).

Va sottolineato che la norma si applica:

  • agli avvocati che svolgono la loro attività sotto forma individuale, di associazione tra professionisti ovvero sotto forma di società tra avvocati;
  • a tutti gli altri professionisti, ma se svolgono la loro attività in forma di associazione professionale o societaria, il compenso è fissato sulla base della prestazione svolta da un solo soggetto anche se eseguita da più partecipanti).

Ciò detto, ricordando nuovamente che in caso di contestazione i professionisti possono basarsi sui parametri di cui al D.L. n. 1/2012, adottati con il D.M. n. 40/2012.

In particolare, il D.M. n. 40 reca “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il DM 140/2012 è stato pubblicato nella G.U. n.195 del 22/08/2012 ed è entrato in vigore il 23/08/2012”.

Non è possibile in questa sede fornire indicazioni circa i contenuti di questi parametri che, di fatto, sono molto articolati e analitici e costituiscono in tutto e per tutto delle tariffe (giudiziarie) individuate specificamente per:

  • Avvocati;
  • Notai;
  • Commercialisti;
  • Professionisti area tecnica (agrotecnico e agrotecnico laureato, architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore, biologo, chimico, dottore agronomo e dottore forestale, geometra e geometra laureato, geologo, ingegnere, perito agrario e perito agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato, tecnologo alimentare).

Dopo di che il predetto D.M. n. 40/2012  completa i soggetti cui si applicano i parametri andando “per differenza”: “Il compenso relativo alle  prestazioni  riferibili  alle  altre professioni vigilate dal Ministero della giustizia, non rientranti in quelle di  cui  ai  capi  che  precedono,  è  liquidato  dall’organo giurisdizionale per analogia alle disposizioni del presente  decreto, ferma restando  la  valutazione  del  valore  e  della  natura  della prestazione, del numero e dell’importanza delle  questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei  vantaggi,  anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale  urgenza  della prestazione”. Ciò detto, i parametri non si applicano ai professionisti non vigilati dal Ministero quali, ad esempio: softeristi, professionisti del marketing, etc. che restano a tutti gli effetti scoperti. Da qui, a maggior ragione la necessità per tali soggetti di prevedere accordi scritti e condivisi con il cliente.

 OPPORTUNITÀ DI PREVENTIVO SCRITTO

È del tutto intuitivo che seppure è astrattamente ammissibile il preventivo in forma verbale, nell’interesse di tutti, professionista e cliente, è opportuno che venga redatto in forma scritta, magari anche solo sotto forma di email accettata dal cliente. Per i commercialisti, peraltro, la mancanza di preventivo scritto costituisce violazione del codice deontologico.

In mancanza di prova, se dovessero sorgere contestazioni il compenso verrà fissato dal giudice che utilizzerà i “predetti parametri”. È bene sottolineare che l’assenza di prova del preventivo di massima di cui all’art. 9, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso.

Ciò detto il giudice potrà anche utilizzare al ribasso detti parametri (mai al rialzo).

Articolo tratto dalla Settimana Professionale Seac n. 1/2018 a cura di di Lelio Cacciapaglia – Pubblicista, docente Scuola Nazionale dell’Amministrazione

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